A fatica cerchiamo di raggiungere l’ascensore. Quando sono sul pianerottolo i dolori sono lancinanti e all’improvviso sento qualcosa in mezzo alle gambe. Appoggio una mano e sento scendere qualcosa di tondo. La porta dell’ascensore si apre. Ma è tardi! È tardi anche per cercare una soluzione alternativa.
Riesco solo a formulare un pensiero semplice: mi serve qualcosa di morbido: il letto! Mia madre mi vede indietreggiare e mi incoraggia a raggiungere la macchina. Lo escludo! “Dì a Cristian di chiamare un’ambulanza. Andiamo sul letto, aiutami.

 

È la bambina. La sento. È qua. È la bambina, mamma, è la bambina!” È una preghiera d’aiuto la mia. Un urlo di paura soffocato sottovoce per non svegliare Alice. Arrivo sul ciglio del letto e ci appoggio le mani per piegarmi in avanti.
Cristian ha già chiuso la prima telefonata col 118 e sta aiutando mia madre a sfilarmi il pantalone.”C’è la testa”, dice lei, e in quel momento sento arrivare una contrazione fortissima e quel qualcosa “di tondo” scendere sempre di più. Riesco solo a dire “prendetela” e, l’attimo dopo, Martina scivola verso terra con una sola spinta. La prendono al volo, insieme, a quattro mani, e me la mettono immediatamente tra le braccia, neanche fosse infuocata! Non è infuocata… ma è caldina, piccolissima e viscida.

 

La tengo a pancia sotto e me la appoggio al petto, poi la copro con un lembo del cardigan. Cristian intanto ha già richiamato il 118: stavolta è più concitato, ha un tono alto, parla veloce, si muove nella stanza, controlla la bimba, segue le indicazioni del medico. Io resto inerte. Non riesco neanche ad essere agitata. Ce l’ho in mano e semplicemente non ci credo. Lei è immobile, ha gli occhi spalancati e sembra avere la beatitudine di chi non desidera stare in nessun altro posto di quello in cui si trova. Non ha pianto per niente, ha solo accennato un piccolo “gne”. Ora si sente solo il suo respiro rumoroso.

 

Mia madre, nel suo unico momento di lucidità, mi suggerisce di provare a liberare il nasino dai muchi. Mi sembra una buona idea e le do subito indicazioni per raggiungere l’aspiratore nasale che ho in casa, tra i medicinali. Lei rimane in piedi, con lo sguardo perso, poi si gira per seguire Cristian che intanto sta andando al portone ad accogliere i soccorritori, poi torna a guardarmi, ripetendomi che dovrei liberarle il naso. Di nuovo? “Mamma! Ascoltami!” le urlo… E finalmente riesce a seguirmi.

 

Dopo l’aspirazione, il respiro sembra decisamente migliorato. In quell’istante entrano in ​ casa i 3 infermieri del 118, uno di loro è al telefono e guardandomi allontana un attimo il cellulare dall’orecchio per dirmi :”tranquilla, sta arrivando il medico, era dietro di noi”. Vorrei rispondergli “mi basti tu, guardala, prendila, dimmi che sta bene” ma riesco solo ad annuire in silenzio.
Nessuno ci tocca, neanche il medico. Ci osserva soltanto e sembra sereno, ma neanche lui mi dice un chiaro “tranquilla, sta bene”. Dice ai ragazzi di spostarci sulla sedia a rotelle, facendo attenzione a non danneggiare il cordone; poi si rivolge a mia madre e chiede di avvolgerci con asciugamani e coperte. Finalmente siamo pronti, andiamo in ospedale.
Nel tragitto, l’infermiere mi sistema meglio la coperta e mi dice “tranquilla, siamo arrivati!”. A me, in realtà, non importa quanto manca, vorrei solo che qualcuno mi dicesse che Martina sta bene. Annuisco di nuovo.

 

L’ambulanza si ferma poco dopo. Finalmente entriamo nel Reparto di Maternità. In ascensore Cristian è già accanto alla barella e mi stringe la mano. Arriviamo al piano e, appoggiati alle pareti del corridoio, troviamo medici e infermieri che ci sorridono e che ci dicono che siamo stati tutti bravissimi. Entriamo nella sala parto, è grande e c’è un gran via vai di camici: finalmente ho dei medici attorno! Due ostetriche ci spostano sul lettino, chiudono il cordone e lo tagliano.

 

Una terza ostetrica prende Martina e si allontana per asciugarla. La seguo con lo sguardo, cerco di intercettare ogni sua espressione. Lei si volta, mi guarda e mi dice le parole più attese e più belle del mondo: “tranquilla, sta bene!”.
A quel punto lascio cadere indietro la testa, guardo il soffitto e respiro a fondo. Proprio mentre mi lascio andare, avverto una scarica di adrenalina: il mio battito cardiaco accelera improvvisamente e un tremore incontrollabile mi scuote le gambe e la mandibola. Mi sento a disagio e chiedo scusa perché non riesco proprio ad avere il controllo del mio corpo.

Purtroppo però manca il secondamento e… [SEGUE]

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