Mentre sono intenta a seminare aiutini e raccomandazioni, mi accorgo che ho bisogno di fermarmi molto più spesso: penso sia il caso di cominciare a scrivermi gli orari delle contrazioni. Prima ogni 13 minuti, poi 11, 12, 8, 7…di nuovo 11. Sono circa le 19:00. Non si può dire che siano regolari, ma il mio compagno comincia a suggerirmi di andare in ospedale.

 

Decidiamo di cenare con calma, ma da seduta i dolori diventano insopportabili. A metà pasto mi alzo e vado in bagno per nascondere la tensione sul volto e abbandonarmi ad una postura più comoda. Cristian mi segue e mi sollecita di nuovo ad andare.

 

In quegli attimi, il baricentro dei miei pensieri trasla totalmente. L’ipotesi che Alice possa finire a scuola in pigiama e coi rasta in testa non mi sfiora neanche più, adesso riesco solo a pensare a quello che ho già vissuto la prima volta: il travaglio lunghissimo, io che vomito di continuo fino a non avere più liquidi da cacciare, il mio compagno che mi sorregge con tutte le sue forze ad ogni contrazione.

 

Comincio a sentirmi tesa. Decidiamo di far intanto venire mia madre per tenere la bimba. Lei si materializza poco dopo, quando ho già la giacca addosso e il borsone in mano. Inutili i suoi sforzi per alleggerire il clima: il saluto con Ali è, dapprima, un impacciato tentativo di trattenere le lacrime e poi un lungo e stretto abbraccio in cui ci lasciamo andare con le facce bagnate.

 

Arriviamo al Pronto Soccorso Ostetrico Ginecologico alle 22:00 e subito mi prendono dentro per il tracciato. Seduta sulla mia poltroncina scambio qualche parola con la biondina che mi sta a fianco, ma intanto noto che le contrazioni non solo si sono allontanate, ma si sono anche affievolite. Mi fanno tornare in sala d’aspetto dal mio compagno, in attesa della visita, ma gli dico chiaramente che “butta male” perché il tutto sembra essersi fermato: “in mezz’ora avrò sentito a malapena una sola contrazione forte”.

 

La visita purtroppo conferma la mia sensazione: il travaglio attivo non è partito, si tratta solo di prodromi e come dilatazione sono a “meno di un dito”. Potrebbero volerci ancora diverse ore, per cui, complice la vicinanza casa-ospedale, mi suggeriscono di tornare quando, per un’ora consecutiva, avverto contrazioni ogni 4/5 minuti o in caso di rottura delle acque.

 

Alle 23:00 siamo di nuovo a casa. Alice dorme già da un po’. Mia madre no! Saranno anche prodromi, ma io sto male… e il pensiero di avere ancora davanti lunghe e sofferenti ore di travaglio, per la seconda volta, mi getta nello sconforto. Provo a seguire il consiglio dell’ostetrica e cerco di rilassarmi sia seduta sul divano che sdraiata. Niente da fare, mi sembra addirittura che peggiorino. Provo e riprovo per un bel po’, fino a mezzanotte.

 

Nel tentativo di trovare sollievo, chiedo a Cristian di portarmi il tavolino di plastica di Alice nella doccia, per potermi sedere lì dentro. Lui non è convinto che sia una buona idea: “e se si rompono le acque e non te ne accorgi?”. Io però non ho dubbi, ricordo bene il sollievo di quel getto caldo durante le contrazioni. Mia madre resta in bagno con me. Le contrazioni continuano, sono forti, sono tutte forti e vicine, tutt’altra storia rispetto a quelle del tracciato!

 

Chiedo a mia madre di chiamare Cristian, voglio provare ad accasciarmi su di lui come avevo fatto con Alice. Lei lo chiama, ma continua a ripetermi che si sono avvicinate molto e che dovrei tornare in ospedale. Mi ​ abbandono col corpo alla forza delle sue braccia, ma non faccio in tempo a rimettermi in piedi che subito ne arriva un’altra… e poi un’altra, un’altra e ancora una.
Loro sono più agitati di me e continuano a ripetermi che si sono avvicinate molto e che dovrei tornare in ospedale… “ma non è da un’ora che le ho così, hanno detto di aspettare almeno un’ora, Non voglio stare lì da sola, Non ti farebbero entrare!”.  Vengo clamorosamente ignorata: Cristian va di sotto a prendere la macchina per avvicinarla al portone e mia madre mi aiuta a rimettermi il pantalone.

A fatica cerchiamo di raggiungere l’ascensore… [SEGUE]

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