I linfociti del latte materno vengono assorbiti completamente dall’organismo del neonato, il quale li sfrutta come strumento di trasmissione di informazioni immunitarie.
Nel corso degli anni, i ricercatori hanno avanzato l’ipotesi che il processo di allattamento sia una variabile in grado di influenzare l’esito di un trapianto di organo!

Pare infatti che la capacità del neonato di accettare delle molecole “estranee” al proprio organismo (contenute nel latte materno) sia alla base del meccanismo che consente ad un adulto, in occasione di un trapianto, di sviluppare una maggiore tolleranza verso organi/tessuti donati lui dalla propria madre; e non solo dalla mamma, ma anche da un fratello qualora egli abbia vissuto come lui l’esperienza dell’allattamento!

La maggiore tolleranza si manifesterebbe sia in termini di minore rischio di rigetto dell’organo nel corso del primo anno dopo il trapianto (i pazienti allattati hanno richiesto minori dosi di farmaci immunosoppressori) sia in termini di migliore funzionamento di quest’ultimo.

Ma come è possibile?
Per comprendere meglio il fenomeno, parliamo brevemente dei fattori che innescano il “rigetto” di un organo.
Il fenomeno del rigetto è geneticamente controllato dal prodotto di un insieme di geni appartenenti al “complesso maggiore di istocompatibilità”, che nell’uomo prende il nome di Human Leukocyte Antigen (HLA); tale sistema è costituito da un gruppo di molecole collocate sulla superficie delle cellule (quindi anche degli organi), in grado di distinguere ciò che appartiene all’organismo, ovvero al “sé” (self) e ciò che invece “è estraneo” al sé (non self).

Quando l’HLA di un individuo X entra in … [SEGUE]

 

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