Diciamo che quella visita non l’ho mai fatta, la mia bimba voleva nascere prima.
Quel 12 Febbraio, quel giorno in cui io credevo ci fosse in atto un aborto, si sarebbe celebrata da lì a poco la vita.
Nel panico di tutto quel sangue che sgorgava, il mio compagno stava arrivando a prendermi per portarmi in ospedale.

Entrati in pronto soccorso, vengo portata nel pronto soccorso ginecologico, dove mi fanno un primo accertamento, per poi portarmi ad un vero e proprio controllo, scoprendo che, presumibilmente, ero alla 36esima settimana e che tutto quel sangue era dovuto ad un distacco di placenta.

Ho fatto solo in tempo a realizzare che il bimbo dentro di me aveva ancora vita, che mi sono trovata nuda con un camice addosso, su una barella trasportata dagli infermieri che correvano: cesareo d’urgenza in codice rosso.

Le uniche parole dette al mio compagno sono state “chiama mia mamma”.
Dopo 5 minuti i medici estraggono quella che dicono essere la mia bimba, nata senza aver pensato nemmeno ad un nome da darle. Ma il nome, in cuor mio, era già destinato: Eleonora.

Io ho potuto vedere la mia bimba solo il giorno dopo; la sofferenza data dal distacco di placenta e la sua prematurità hanno fatto sì che avesse bisogno di cure e di un’attenzione in più rispetto ad un bimbo che nasce a termine e in salute. Così è stata portata subito nel reparto di patologia neo-natale in terapia intensiva, dove è rimasta fino al 21 Febbraio.

Il primo a vederla è stato il mio compagno… [SEGUE]

 

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