Vorrei iniziare il mio racconto un po’ prima del parto; sì, perché nel mio racconto del parto mi sento di includere quella parte della mia gravidanza in cui ho scoperto che non avrei partorito. Spesso ho visto demonizzare il parto cesareo (e in molti casi giustamente), ma molto spesso si dimentica quella fetta di mamme che non possono far diversamente: le mamme podaliche.

Letta in un blog ho subito fatto mia questa definizione, mi è subito piaciuta; mia figlia era podalica ma era un po’ una situazione condivisa, una strada che comunque avremmo dovuto percorrere insieme nel bene e nel male, il suo essere podalica era insomma affare condiviso.

Ci saremmo dovute sentire inappropriate insieme, lei non si era girata e io non l’avevo “convinta”; ci saremmo dovute sentir dire insieme “beata te, non farai fatica” e “beata lei, non avrà traumi”, mandando giù il rospo con un sorriso.

Ci abbiamo provato in ogni modo, moxa, gambe all’aria, osteopatia e infine rivolgimento, ma non ci siamo riuscite, o meglio siamo finite a percorrere un’altra via, un’altra via che ci ha portate comunque ad abbracciarci.

Io dopo il verdetto di “rivolgimento fallito” ho versato un sacco di lacrime, perché io mia figlia volevo partorirla, volevo che fosse lei a decidere quando nascere e non un protocollo ospedaliero, non io, non i medici.

Volevo farmi il mio travaglio a casa con luce soffusa e musica… [SEGUE] 

 

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