La prevenzione della sindrome metabolica può iniziare già nel grembo… della nonna; ecco quanto è emerso da recentissimi studi appena pubblicati.
La sindrome metabolica comporta molti disturbi metabolici tra cui obesità, con aumento dell’adipe localizzato nel girovita, ipertensione, aumento del livello dei trigliceridi plasmatici e del colesterolo LDL, mentre si riduce quello buono HDL, e infine, insulino-resistenza. E’ una patologia che colpisce un’elevata percentuale della popolazione mondiale, compromettendone lo stile di vita e aumentando il tasso di mortalità per patologie cardiovascolari.
Sul numero di marzo di The FASEB Journal è stato pubblicato un nuovo studio che dimostra come i nutrienti essenziali influenzano la salute a lungo termine, impedendo la trasmissione ereditaria della sindrome metabolica alle generazioni successive e cosi prevenendo il rischio di obesità, diabete, colesterolo e trigliceridi alti, ossia la sindrome metabolica.
Scendiamo nel dettaglio a chiarire come sia possibile tale prevenzione: dallo studio di epigenomica emerge che un neonato sottopeso sarà nonno di generazioni successive con più alto rischio di disordini metabolici; quindi garantire un peso ottimale al feto è fondamentale per evitare questo tipo di trasmissione ereditaria.
Un basso peso alla nascita si tramanda e non può essere compensato nemmeno integrando la dieta con supplementi completi e soddisfacenti dal punto di vista tradizionale.
Il ricercatore Aagard Kjersti della Divisione Materno-fetale di Medicina del Baylor College a Houston in Texas e la sua equipe hanno condotto lo studio su due popolazioni di ratti: una di queste aveva subito la legatura bilaterale dell’arteria uterina per tutta la durata della gravidanza, conferendo una restrizione della crescita intrauterina, in modo da far nascere ratti sottopeso; la seconda popolazione di ratti non aveva subito il trattamento, quindi si erano portate a termine le gravidanze con nascituri di peso normale.
Dopo la nascita, entrambi i gruppi erano stati alimentati regolarmente e divenuti adulti nelle gravidanze successive non erano state fatte manipolazioni di alcun tipo ma, i ratti che avevano basso peso alla nascita avevano partorito ratti sottopeso. Poi seguiti e alimentati regolarmente fino ad un anno di età. Su tali ratti sono stati eseguiti test per l’obesità, per il diabete e misurazioni dei livelli lipidici plasmatici. Campioni dei tessuti epatici sono stati estratti da alcune di queste cavie per studiare i cambiamenti epigenetici nel DNA.
Si è dedotto che la limitata crescita intrauterina comporta alterazioni ereditarie nella metilazione del DNA provocando il rischio di sindrome metabolica da adulti.
Quindi la conclusione di tale studio è che aiutare il feto a raggiungere il peso ottimale, con l’integrazione di sostanze nutritive essenziali, soprattutto nell’alimentazione intrauterina, è molto importante per evitare di trasmettere le modifiche epigenomiche che portano disordini metabolici alle generazioni successive e potrebbe essere d’aiuto alle politiche sanitarie che mirano a conservare il benessere e lo stato di salute degli individui, centrando l’interesse piuttosto che sui fattori di rischio individuali, sul rischio di malattia epigenomica e come tale agire sulla prevenzione.
A cura della Redazione di Mammole
Fonti:
http://www.eurekalert.org/pub_releases/2015-03/foas-pmd030215.php
http://www.fasebj.org/content/29/3/807
Le Mammole parlano qui di sindrome metabolica