paracetamolo

 

La gravidanza è un momento molto delicato per la vita di una donna e seppur è un percorso naturale, spesso vi è la necessità di ricorrere ai farmaci. In questi casi, i medici sono soliti indicare l’assunzione di medicinali a base di paracetamolo, in quanto considerati innocui, sia per la salute della donna incinta che per il feto stesso.

Ma il paracetamolo è davvero privo di rischi?

 

Secondo una ricerca norvegese pubblicata sull’International Journal of Epidemiology, il paracetamolo andrebbe assunto in quantità ridotte e solo se strettamente necessario.
L’indagine è stata effettuata su un campione di 3000 coppie di fratelli, dove la madre, durante la gestazione, aveva assunto il paracetamolo per curare febbre o dolori e per un periodo superiore ai 28 giorni; tali campioni sono stati poi confrontati con altre coppie, la cui genitrice non aveva fatto assunzione di tale medicinale.

 

Nella valutazione fatta dagli studiosi norvegesi, venivano compresi anche altri fattori ambientali, quali: infezioni, alcol, uso di tabacco, altri medicinali.
Insomma, dall’analisi effettuata era risultato che, le coppie di fratelli non esposti al paracetamolo, avevano raggiunto risultati migliori nelle prove di abilità e nelle doti comunicative, rispetto agli altri. Tali effetti, seppur in misura minore si erano registrati anche in quelle coppie di fratelli, sottoposti a paracetamolo in misura inferiore ai 28 giorni.

 

Stessa situazione era già stata messa in luce da una ricerca americana secondo cui il paracetamolo era dannoso per il feto se assunto durante i 9 mesi di gravidanza; tale scoperta effettuata da un’università americana di Baltimora e pubblicata su Nature Neuroscience, aveva sconvolto l’opinione pubblica, da sempre convinta che il paracetamolo fosse innocuo.

 

La ricerca, effettuata sui ratti, aveva dimostrato che l’uso del paracetamolo in gravidanza, poteva addirittura inibire alcune funzioni dello sviluppo della sessualità dei mammiferi maschi, compresi gli umani. Infatti, si era osservato che i ratti maschi, che nel grembo materno erano stati sottoposti all’uso della sostanza, mostravano successivamente un debole interesse per il sesso opposto; stessa cosa accadeva nel comportamento dei ratti femmina che mostravano comportamenti mascolini.

 

Ma come è possibile che il paracetamolo (e anche l’aspirina) che sono fra i farmaci maggiormente usati da tutti, possano creare tutto ciò?
La risposta sta nella capacità che hanno questi farmaci di ostacolare la sintesi della prostaglandina E-2, mediante l’assorbimento del medicinale da parte della placenta.

 

Insomma, a quanto pare, il paracetamolo creerebbe dei danni ed anche piuttosto seri se utilizzato in dosi eccessive, e tali danni a livello psicomotorio e comportamentale, emergerebbero entro i primi 3 anni di vita. Pertanto, sarebbe opportuno farne un uso moderato e se non strettamente necessario, sarebbe meglio evitarlo completamente.

 

 

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