Uno storico ed economista americano, David Landes, sosteneva che esistono tre tipi di nazioni: quelle in cui la gente si chiede da dove giungerà il prossimo pasto; quelle in cui la gente mangia per vivere e andare avanti; e quelle in cui la gente spende cifre da capogiro per dimagrire.

Eppure il mondo complicato e miliardario delle diete non ha mai davvero fatto i conti con l’ormone leptina, scoperto nel 1994 da Jeffrey Friedman.

 

La leptina (dal greco leptos, cioè snello) è un ormone proteico che ha un ruolo importante nella regolazione dell’ingestione, dell’appetito e del metabolismo.

La leptina è uno dei principali ormoni prodotti dal tessuto adiposo, essendo codificata dal gene Ob (Lep) (Ob di obeso, Lep di leptina). Se la leptina regola il senso di sazietà, la grelina invece è l’ormone dell’appetito.

La leptina spegne il segnale dell’appetito inviato dall’ipotalamo, riducendo quindi lo stimolo a nutrirsi.

Nel caso in cui l’ipotalamo funzionasse male o poco (magari a causa del difetto di uno dei geni della leptina o del suo ricettore corrispondente nella ghiandola), la fame raggiungerebbe livelli frenetici dando via libera all’obesità .

Quando si comprese il meccanismo d’azione di questo ormone, si ipotizzò come fosse facile, creare un farmaco per contrastare i meccanismi naturali dell’appetito, eppure, ironia della sorte, solo in casi limitati, gli obesi mostrarono una mutazione del gene della leptina; anzi, al contrario, anche un sistema efficiente come questo non serve a sedare l’ istinto della fame.

 

Perché? A risolvere l’enigma, una decina d’anni fa a New York, i medici dell’Albert Einstein College of Medicine (e fra questi l’italiano Luciano Rossetti) ipotizzarono che, più dell’ormone, fosse la stessa disponibilità e abbondanza di cibo a incidere sulla quantità di leptina prodotta dall’organismo.

Verificarono la teoria sul modello animale. Ai componenti del primo gruppo fornirono da mangiare tutto ciò che volevano. Al secondo, diedero la possibilità di mangiare la metà rispetto al gruppo precedente.

Dopo ogni pasto, fecero un’iniezione di leptina a tutti.

 

Risultati? Gli animali limitati nell’apporto calorico continuavano a produrre l’ormone, quelli sazi ne limitavano la produzione. Il paradosso indicava che i topi più magri s’erano adattati a mangiar meno degli altri, e non aspettandosi molto dalla loro situazione riducevano lo spreco di energie per rincorrere un cibo inesistente; gli altri topi, più sazi, mangiavano di più soltanto perché ne esisteva l’opportunità, riducendo la produzione dell’ormone e aumentando consumo e immagazzinamento dei grassi. In pratica, il sistema leptinico s’era adeguato all’ambiente e all’offerta.

 

«Notammo», spiega il dottor Rossetti, «che nutrendo topi, geneticamente predisposti a ingrassare con una dieta ad alto contenuto lipidico, li vedemmo mangiare smodatamente, senza più alcun controllo».

Da ciò discende la spiegazione che l’uomo è biologicamente programmato a consumare maggiori quantità di cibo, quando esso sia disponibile. Dove c’è cibo, l’animale vorrà farne incetta. Dove c’è più cibo, il rischio dell’obesità è drammaticamente maggiore.

 

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