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E’ noto che l’inquinamento legato alla presenza di agenti fisici, chimici e biologici nell’atmosfera si ripercuote negativamente non solo sul nostro pianeta, sulla flora e sulla fauna ma anche sulla salute dell’uomo che lo abita.

 

Ma quali sono gli effetti che produce sulle donne in gravidanza e sulla crescita dei rispettivi bambini? Può l’esposizione agli inquinanti atmosferici in epoca prenatale avere ripercussioni durante l’infanzia?

 

A queste domande hanno cercato di dare risposta un gruppo di ricercatori americani guidati dal professor Peterson B.S., direttore dell’Institute for the Developing Mind dell’Hospital Children di L.A., California; lo studio condotto, di tipo trasversale, è stato recentemente pubblicato sulla nota rivista Journal of the American Medical Association (JAMA) – Psychiatry.

 

I ricercatori hanno voluto esaminare gli effetti di alcuni specifici inquinanti atmosferici sulla salute di un gruppo di soggetti monitorati dal periodo fetale all’età 7-9 anni.
Nello specifico, l’indagine si è concentrata sugli inquinanti maggiormente diffusi nell’ambiente: gli idrocarburi policiclici aromatici (IPA), che si ritrovano adesi alle particelle sospese nell’aria, sono presenti nel suolo, nei sedimenti oleosi e nell’acqua.

 

Gli IPA si originano prevalentemente dalla combustione incompleta di elementi organici (tra i quali animali, piante e legname) ed inorganici (come rifiuti, tabacco, carbone e petrolio); le sue molecole sono altamente contaminanti in quanto fortemente reattive.

 

Lo studio del professor Peterson e collaboratori ha avuto come obiettivo quello di verificare gli effetti dell’esposizione prenatale agli IPA sul cervello dei bambini, valutandone gli esiti sul versante cognitivo e comportamentale.

 

L’indagine è stata realizzata in step successivi e la sua prima fase, ovvero quella del reclutamento dei soggetti idonei allo studio, ha richiesto 8 anni di lavoro (1998-2006).
In partenza, il campione era costituito da circa 727 donne in gravidanza di età compresa tra i 18 e i 35 anni, ma di fatto solo 665 donne hanno partecipato attivamente all’indagine.

 

Le gestanti sono state monitorate fino al termine della gravidanza ed invitate a compilare alcuni questionari. Sulla base dei dati raccolti, i ricercatori hanno effettuato un’ulteriore scrematura selezionato circa 255 bambini ed escludendo tutti coloro che, in epoca fetale, erano stati esposti ad agenti chimici (tra cui elevate quantità di fumo di tabacco, insetticidi e pesticidi).

 

Nello step successivo sono stati poi individuati casualmente 40 bambini, dei quali 20 erano stati esposti agli IPA entro i livello standard e 20 a livelli superiori alla media: questi soggetti sono quindi stati regolarmente sottoposti a risonanza magnetica fino a circa 8 anni, allo scopo di monitorare e registrare le caratteristiche dello sviluppo cerebrale.

 

I risultati dello studio hanno condotto i ricercatori a riconoscere l’esistenza di un legame tra esposizione prenatale a inquinanti atmosferici e sviluppo cerebrale infantile: dall’analisi dei dati è emerso che l’esposizione agli IPA durante la gravidanza, in alcuni casi, può ostacolare il corretto sviluppo della sostanza bianca dell’emisfero sinistro del cervello, che svolge funzioni di controllo dei segnali condivisi fra i neuroni, coordinando il lavoro delle diverse regioni cerebrali.

 

Questa alterazione si può potenzialmente tradurre in un rallentamento nella velocità di apprendimento, disturbi dell’attenzione e iperattività nel corso dell’infanzia.

 

Ostetrica Lucia Cappelletti

 

 

Link alla fonte:

http://www.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed/25807066

 

Le Mammole parlano qui di inquinamento 

 

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